John Locke

 


John Locke è il padre dell’empirismo moderno. Nell’ottica di Locke la ragione non viene più ritenuta assoluta e infallibile, ma viene ricondotta entro i confini dell’esperienza. Il filosofo affronta i temi difficili della morale e dell’educazione, ritenendo necessario esaminare l’origine, la certezza e l’estensione della conoscenza umana. L’uomo, superando l’inerzia spesso causata da posizioni scettiche, è in grado di ottenere un livello di conoscenza sufficiente e guidare nel modo migliore le sue azioni.

Locke critica la tesi della presenza di un certo numero di verità fondamentali in ogni uomo sostenendo che è falsa: i bambini e gli idioti, ad esempio, non hanno la minima nozione di simili principi. Se poi consideriamo l’idea di Dio, ci accorgiamo che essa varia da persona a persona e che addirittura molti popoli non la possiedono per niente. Tra gli uomini non vi è consenso neppure sulle norme morali: la disparità di vedute confuta quindi l’innatismo, mostrando la falsità delle argomentazioni che lo sostengono e che ostacolano il progredire della conoscenza. 

Secondo il filosofo la nostra conoscenza dipende interamente dall’esperienza: la mente di un neonato è come un foglio bianco (una facoltà priva di contenuti). Dall’esperienza derivano due tipologie differenti di idee:

  1. le idee di sensazione, che provengono dagli oggetti esterni tramite i cinque sensi;
  2. le idee di riflessione, che derivano dall’esperienza interna, la quale comprende gli stati d’animo e le passioni.
Sensazione e riflessione sono le uniche fonti della nostra conoscenza. Si capisce quindi perché i bambini acquisiscano in modo graduale le loro cognizioni, le quali sono tanto più strutturate quanto più vive e varie sono le esperienze che essi fanno. Sul tema dell’educazione Locke dedicò uno scritto, Pensieri sull’educazione.





Locke procede a distinguere in due grandi classi le idee:
  1. le idee semplici, derivano dalle esperienze elementari della sensazione o della riflessione. Comprendono a loro volta le idee di qualità primarie,  oggettive, e le idee di qualità secondarie, soggettive. Queste idee costituiscono i mattoni della nostra conoscenza, il punto di partenza del processo conoscitivo;
  2. le idee complesse, di cui è possibile l’elaborazione una volta che la mente ha ricevuto passivamente le idee semplici. 
L’intelletto non conosce le cose in maniera diretta, ma solo tramite le idee. La conoscenza, dunque, è vera se c’è conformità tra le idee e la realtà delle cose. Quindi, per quanto riguarda le idee semplici il problema non sussiste, in quanto rispetto ad esse la mente è del tutto passiva. Le idee complesse, invece, sono il frutto del potere attivo che la mente esercita sulle idee semplici: in questo caso l’errore è possibile, perch’ potrebbe averle composto in odo erroneo. 

Le idee di modi sono quelle idee che non possiedono un'esistenza autonoma. Dunque non si reggono da sole: la gratitudine, ad esempio, si riferisce ad una determinata manifestazione dell’uomo che riconosce al suo benefattore una modalità di comportamento benevolo nei suoi confronti. 
Le idee di sostanze sono quelle idee complesse che si riferiscono a entità particolari considerate distinte e sussistenti per se stesse. Dal momento che noi percepiamo soltanto idee semplici e non riusciamo a immaginare che esse possano sussistere da sole, siamo portati a supporre che poggino su un ‘sostrato’ che le sostiene.
Le idee di relazioni nascono dal confronto di un’idea con un’altra. Le più importanti sono quelle di causalità e identità.

La certezza del nostro io ci è data per via intuitiva, senza il bisogno di costruire un ragionamento. Conosciamo, poi, l’esistenza di Dio per via dimostrativa, ossia attraverso una catena di intuizioni che connette diversi concetti tra loro. Per quanto riguarda la realtà esterna, secondo Locke, abbiamo una conoscenza affidabile e sufficiente per orientarci nel mondo, ma non assoluta. La probabilità rappresenta il vasto campo su cui l’uomo, in assenza della certezza assoluta, può comunque fare affidamento, vagliandone la conformità con l’esperienza o con la testimonianza di altri soggetti. La ragione, quindi, moderata dall'esperienza, resta l’unico strumento di cui disponiamo per orientarci nel mondo.

Rimane da affrontare, secondo il filosofo, il problema del linguaggio. Le parole sono associate per convenzione alle idee allo scopo di rappresentarle e renderle manifeste agli altri (convenzionalismo linguistico). I fini del linguaggio sono tre:
  1. rendere noti agli altri i propri pensieri o idee;
  2. farlo nel modo più facile e rapido possibile;
  3. comunicare in tal modo la conoscenza delle cose.
Il linguaggio è mal utilizzato quando fallisce rispetto a uno di questi tre obiettivi:in primo luogo quando le persone non possiedono nella mente alcuna idea di cui le parole utilizzate possono essere il segno, in secondo luogo quando applicano i nomi di una data lingua con un significato privato e in terzo luogo quando li applicano in modo equivoco. 

LA CONCEZIONE DELLO STATO 

Le sue idee sulla politica ebbero vasta eco in tutta Europa e influenzarono i padri della Dichiarazione d'indipendenza e della Costituzione degli Stati Uniti d'America. Locke inizia le sue riflessioni partendo dallo stato di natura, da lui immaginato come quell'ipotetica condizione originaria in cui si trovano gli uomini quando non sono ancora associati tra loro e disciplinati da una serie di norme. Ha una visione positiva della natura umana: considera gli uomini individui illuminati dalla ragione. Essi possiedono una legge morale direttamente derivante da Dio, che prescrive il rispetto di tre diritti specifici, naturali e inalienabili: alla vita, alla libertà e alla proprietà. Lo stato di natura, dunque, stabilisce fin dove può estendersi la libertà di ciascuno, in modo tale che non leda la libertà altrui; ammette anche, però, la mancanza della garanzia del diritto: chiunque potrebbe prevaricare gli altri per motivi personali. È necessaria, quindi, la stipulazione di un contratto di natura sociale, definito contrattualismo, e comporta  due accordi:
  1. pactum unionis, patto in cui le persone si riuniscono in una società civile;
  2. pactum subiectionis, con cui decidono di sottomettersi ad un'autorità.
Secondo Locke, a differenza di Hobbes, lo Stato nasce per tutelare i diritti naturali e inviolabili di ciascun cittadino: il sovrano non può essere assoluto e arbitrario. Il contrattualismo lockiano è fortemente radicato nel giusnaturalismo. 

L'uomo, fin dallo Stato di natura, ha il diritto di godere e disporre dei suoi beni. Dio ha dato la terra come risorsa comune a tutti gli uomini, essa, però, non produce spontaneamente i suoi frutti e necessita della manipolazione dell'uomo. La proprietà, dunque, non è un privilegio acquisito, bensì il frutto dell'azione umana. Gli uomini non devono, però appropriarsi delle cose smodatamente, perché potrebbero privare gli altri di qualcosa necessario alla sopravvivenza. 

I principi fondamentali del liberalismo:
  1. il potere politico si fonda sul consenso dei cittadini;
  2. Lo Stato non può governare in modo arbitrario, ma deve attenersi alle norme promulgate. Tra i diritti fondamentali che lo Stato deve garantire vi sono: quello alla proprietà privata, alla libertà e alla vita;
  3. Il potere legislativo deve essere separato da quello esecutivo, perché se fossero le medesime persone a fare le leggi e a farle eseguire, probabilmente dispenserebbero se stesse dall'ubbidienza alle loro prescrizioni o le formulerebbero in base ai propri interessi.
Il potere politico, secondo le riflessioni di Locke, nasce e si regge con lo scopo di fare le leggi e di farle osservare, anche con il ricordo alla forza. Le finalità delle istituzioni religiose, invece, rispondono ai bisogni spirituali degli uomini di fede. La Chiesa è una società libera e volontaria, e il suo scopo è di aiutare coloro che ne fanno parte a ottenere la salvezza dell'anima, di non-competenza al potere politico. Il re deve garantire la libertà di culto e non può imporre ai sudditi il proprio credo: allo stesso modo, nella società religiose non sono concesse pratiche contrarie alla legge. Ciò che è lecito in seno allo Stato non può essere proibito in seno alla Chiesa. Lo stato, però, non può tollerare comportamenti contrari alla conservazione della società umana: per questo motivo Locke esclude dalla sua dottrina della tolleranza i cattolici, i quali obbediscono ad un'autorità politico-religiosa, e gli atei, perché non ammettendo l'esistenza di Dio, non sono in grado di stipulare il patto su cui si fonda la società umana.

 


























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